Di Marlangela Vacatello, a Bergamo, e più precisamente tra Il pubblico della Greppi, si pensava di sapere tutto. Arrivata sette anni fa, nel corso di una carriera ancora non sbocciata ai livelli più alti, non era difficile Ipotizzare per lei un futuro dei più brillanti. 
Di mezzo c'erano le incognite di una professione che oggi (ancora più che un tempo) rasenta l'impossibile, non solo per intrinseci ostacoli, ma per la situazione oggettiva del concertismo, che soffre di condizioni sempre più ardue. 
La giovane interprete napoletana non solo aveva mezzi adeguati, ma mostrava la grinta che non era difficile immaginare come precoce sembianza di un carisma. Il concerto al Festival dei Concerti d'Autunno ha confermato tutte le più rosee previsioni. Di più, ci ha presentato un  volto compiuto di quella che potrebbe essere la Vacatello in versione matura. Ha ventotto anni, ma la completezza delle sue visioni musicali ci fa affermare che le sue interpretazioni sono ormai qualcosa di più dell'entusiasmo e della vigoria baldanzosa che già abbiamo ammirato nelle precedenti occasioni. c'è l'agio delle mete raggiunte, e non solo per gusto del cimento e per desiderio di superare nuovi limiti. 
Prova di maturità 
La prova di questa consapevolezza, di questa «maturità», chiamiamola così, l'abbiamo trovata in particolare nella Sonata in si minore di Liszt. Un'interpretazione da antologia Innumerevoli sono le esecuzioni di questo capolavoro romantico, quintessenza di una contraddizione irrisolvibile: quella che contempla sia le istanze legate all'estemporaneità dell'ispirazione, sia la strutturazione con una logica serrata sia l'omaggio alle forme classiche, come dice il nome «sonata». Eppure finora quasi nessrma ci aveva convinto come quella della Vacatello: in primo luogo per la scelta di timbri morbidi, leggiadri o robusti, ma sempre condotti con un ventaglio di colori nobili, mai «chiassosi», anche quando la scrittura lo potrebbe lasciare intendere (oltre che additarlo per immediatezza manuale). Citiamo solo la breve scala discendente ripetuta quattro volte all'inizio: la volubilità di significati molteplici è stata resa magnificamente con un passaggio di colori, coesi nella loro diversità. Ma ancor più magistrale è stata la fluidità con cui la pianista ha tramato i passaggi dai toni epici a quelli sruggenti, dagli approcci sfuggenti a quelli candidi o sferzanti, conferendo l'idea di un'eleganza sovrana che doma anche un'idra a molte teste come il capolavoro di Liszt. 
Poco, anche se comunque molto dal punto di vista quantitativo e qualitativo, hanno aggiunto la Polacca brillante op. 22 di Chopin, nobilitata oltre e lungi dalle dimensioni salottiere, e i virtuosismi di Petrouchka, che hanno esaltato la furia tecnica sbalorditiva della solista. Ma questi erano aspetti - sempre mirabili - su cui c'erano pochi dubbi. Entusiasmo ed applausi ampiamente meritati.

 

© Mariangela Vacatello